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Il concetto di natura tra scienza e teologia. L'esigenza di una mediazione epistemologica

Autor: Rafael Martínez *
Conferencia pronunciada en: Comunicación presentada en la Fifth European Conference on Science and Theology (ESSSAT VIII), Freising-Munich (Alemania), 23-27 marzo 1994. Publicada en inglés, con el título "The Concept of Nature Between Science and Theology. The Need for an Epistemological Mediation", en: Niels H. Gregersen, Michael W. S. Parsons y Christoph Wassermann, editores, "The Concept of Nature in Science & Theology", Part I (Ginebra: Labor et Fides, 1997), pp. 66-77.
Fecha: 23-27 marzo 1994

"The Concept of Nature", argomento della Fifth European Conference on Science and Theology, è sicuramente un tema di studio fondamentale se vogliamo sviluppare un fruttuoso dialogo tra Scienza e Teologia. Nei due campi di studio l'idea di natura occupa un posto centrale. Lo studio della natura costituisce quasi l'essenza di ciò che riteniamo sia la ricerca scientifica. Essa è infatti un tentativo di comprendere la natura (anche quella umana) e di raggiungere, attraverso di questa conoscenza, un certo dominio e controllo pratico su di essa1. La fede religiosa, da parte sua, vede la natura comecreazione e dono di Dio, e come manifestazione della sua grandezza. La riflessione teologica deve farricorso necessariamente alla nozione di natura per cercare di comprendere il ruolo dell'uomo nei piani divini e per valutare la missione che Dio affida all'uomo. La riflessione sul rapporto fra natura e grazia, fra il naturale e il soprannaturale, sarà sempre una delle questioni fondamentali della ricerca teologica.

Tuttavia, non sembra facile per la scienza e la teologia portare a termine un dialogo sul concetto dinatura. Lungo la storia non raramente sono sorte delle incomprensioni. Il caso Galileo è un esempioparadigmatico. Galileo avrebbe tentato di far valere i diritti di un'ideale di ricerca scientifica impostato sui valori intrinseci della natura, contro quelli delle scuole filosofico-teologiche del momento, ancorati a degli schemi prefissati2. Oggi troviamo ancora dellesituazioni di conflitto simili. A volte però i ruoli sembrano essersi capovolti. Così accade, ad esempio, nel sistematico rigetto con cui spesso vengono accolti i richiami alla natura fatti dalla teologia nel campo della normatività etica.

Qual è la radice di queste incomprensioni? La riflessione filosofica e teologica raggiunse una volta in Occidente, attorno al secolo XIII, un accordo sostanziale sulle categorie fondamentali con cui il mondo veniva compreso e giudicato dalla mente umana. Ma la nascita della scienza ­ scienza sperimentale ­, e l'evoluzione del pensiero moderno, sembrano aver aperto un sempre più ampio divario fra i modi in cuiscienza e teologia fanno della natura l'oggetto della propria riflessione. Sembra a volte quasi che scienza e teologia abbiano in mente delle concezioni radicalmente diverse di ciò che la natura è. E questo da come risultato l'impossibilità di stabilire un vero dialogo fra le due. Il concetto di natura, dunque, richiede ancora una profonda chiarificazione.

Certamente, il modo in cui scienza e teologia affrontano lo studio della natura è e dovrà sempre essere diverso. Tuttavia ciò non dovrebbe essere ostacolo al dialogo fra le due, sempre che al di sotto di tale diversità di prospettive si riesca a identificare un realtà comune. Di fronte alla "natura" scienza e teologia dovranno necessariamente elaborare delle "oggettivazioni" diverse3, poiché sono diversi gli aspetti del mondo fisico che interessano alla teoria fisica o biologica di quelli che risultano significativi per la teologia. Tuttavia ciò è condizione del dialogo interdisciplinare, e non necessariamente un ostacolo. Il pensiero può elevarsi al di sopra di queste diverse "oggettivazioni", per raggiungere la realtà dalla quale esse costituiscono dei "tagli" o "sezioni" concettuali.

Questo può essere il ruolo di mediazione svolto dalla filosofia all'interno del dialogo scienza-teologia. Sarà nell'ambito filosofico, e più particolarmente in quello epistemologico, dove scienza e teologia potranno incontrare i punti di collegamento fra le rispettive visione della natura.

Questo non significa che la filosofia debba allora costituire una sorta di scienza unificante fra scienza sperimentale e teologia, una specie di "metascienza", con una propria particolare oggettivazione. Se la filosofia viene vista semplicemente come una scienza di maggior generalità, saremmo condannati ad un ricorso all'infinito. Risulta necessario invece ammettere la capacità "riflessiva" della filosofia. Essa è in grado di riflettere sulle proprie conoscenze. Questa capacità riflessiva, che distingue nettamente la filosofia delle scienze sperimentali, si fonda su un tipo particolare di astrazione o concettualizzazione del reale, che spiega certamente la minor oggettività della filosofia rispetto della scienza, ma che costituisce la ragione del suo ruolo di sapere (relativamente) ultimo. Anche alla teologia, di fatto, compete un tipo simile di approccio al reale. Per questo motivo il dialogo scienza-fede ci conduce più generalmente in un ambito teologico, piuttosto che in un ambito scientifico, anche quando viene intrapreso da scienziati, enon da teologi. In altre parole, nel dialogo tra scienza e teologia lo scienziato-teologo si trova sempre a fare (o tenta di fare) teologia, o quando meno filosofia, ma non scienza. Anche la scienza può ottenere dei benefici, in quanto la sua visione del mondo naturale si troverà inquadrata in una veduta più larga e comprensiva4. Di solito però questi benefici saranno meno immediati.

Vorrei in queste pagine riflettere su alcune questioni epistemologiche riguardo all'uso del concetto di natura nel dialogo scienza-teologia. Considererò in particolare qual è il contenuto epistemologico e il valore del concetto di natura nella ricerca scientifica e teologica. La questione sarà articolata in tre punti: 1. Quale ruolo metodologico spetta al concetto di natura, in scienza e in teologia? 2. Quale particolare concetto di natura è in grado di assumere questi ruoli? 3. Sarà la nozione di natura risultante, una nozione ammissibile dalla scienza (oltre che dalla filosofia e dalla teologia), e in particolare, risulta una realtà conoscibile?

1. Quale ruolo metodologico spetta al concetto di natura in scienza e in teolo gia? La natura come fonte di questioni e come guida normativa

La diversità di prospettive con cui scienza e teologia si rivolgono alla natura non è un ostacolo per il loro dialogo mutuo. Oltre a questa diversità è possibile vedere la natura come una realtà che accomuna la riflessione nei due campi. In particolare, risulta possibile scoprire un doppio ruolo svolto dall'idea di natura, sia nell'ambito scientifico che in quello teologico.

In primo luogo, la natura appare, sia nella scienza che nella teologia, come fonte di questioni. Nell'attività scientifica, questa dimensione della natura risulta evidente. L'uomo interroga sé stesso cercando risposta ai problemi che l'osservazione della natura li propone. Questi problemi li si presentano sia a livello teorico che pratico. L'uomo si interroga per comprendere meglio ciò che nella natura osserva (livello teoretico o speculativo) ma anche mosso dal desiderio di rendere la natura più"docile" alle necessità della propria attività (livello strumentale o pratico). Ma la natura non limita solamente alla scienza questo suo ruolo di fonte di questioni. Anche nella teologia la natura svolge questo stesso ruolo, che possiamo dire "problematico". Ovviamente, le questioni che la natura pone alla teologia, sia a livello teorico che pratico, riguarderanno aspetti diversi da quelli a cui la scienza si rivolge. A livello teorico, per esempio, scienza e teologia si interrogano sulla comprensibilità dei fenomeni che lanatura ci presenta. Ma la scienza si domanderà piuttosto sul significato che i processi e gli eventi rilevati, possano avere all'interno di un quadro esplicativo del mondo fisico, coerente e il più comprensivo possibile. La teologia cercherà invece il senso delle realtà naturali alla luce di una intelligibilità più elevata, in rapporto al dato rivelato5. Anche a livello pratico la natura pone delle questioni alla teologia, in quanto l'uomo è chiamato ad orientare verso Dio tutte le realtà create: "lacreazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità ­ non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa ­ e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto"6.

C'è però una seconda dimensione del rapporto fra "natura" e scienza o teolo gia, che possiamo chiamare normativa. La natura appare non soltanto come fonte di questioni o di problemi, ma anche come fonte di significato, cioè come guida per conferire il suo vero senso alla realtà. Così possiamo dire che la natura non soltanto "domanda" l'uomo, ma che essa anche "offre risposte" e guida la stessa ricerca umana.

Questa dimensione "normativa" della natura appare chiaramente nei diversi livelli che abbiamo considerato. La comprensione della natura che la scienza insegue può essere raggiunta solamenteattraverso lo studio attento che lo scienziato rivolge verso la stessa natura. La conoscenza del mondo fisico non può essere raggiunta a priori, ma è risultato dell'ascolto delle risposte racchiuse nella stessa natura, e che essa ci offre, anche se non con facilità. È questa l'idea galileiana del "Libro della natura", che ci interroga, ma nel quale possiamo leggere le risposte a quelle stesse domande7. È vero che l'epistemologia recente ha insistito particolarmente nel ruolo attivo dello scienziato. Esso non si limita a costatare i dati della natura, né procede attraverso di un'induzione lineare. Ma ciò non significa affermare il carattere soggettivo o autonomo delle costruzioni scientifiche. Ciò che l'epistemologia attuale esige è piuttosto la consapevolezza che ci troviamo di fronte ad una natura di notevole complessità. I molteplici livelli in cui essa si struttura esigono dall'uomo un atteggiamento creativo nel dialogo con essa.

Anche quando ci si rivolge alle dimensione pratiche della scienza, risulta im portante riconoscere la dimensione normativa della natura. La scienza possiede non solo una dimensione euristica, ma anche una pragmatica. La scienza cerca di esercitare un certo dominio sugli eventi naturali, attraverso il suo potere predittivo, che li permette di controllare, e ogni volta di più, numerosi ambiti del mondo fisico. Non è però questo un dominio dispotico o esterno. Il controllo dei fenomeni fisici può essere raggiunto solo grazie all'ascolto e all'adattamento delle nostre forze alle esigenze della stessa natura. Inoltre, l'esigenza che la natura sviluppi questo ruolo normativo risulta anche chiaramente dall'esperienza delle gravi alterazioni che l'azione immoderata della scienza e della tecnologia possono causare nell'ambiente fisico. Il progresso scientifico deve essere accompagnato dalla costante ricerca di una reale armonia con la natura.

Nell'ambito teologico possiamo anche scoprire la dimensione normativa della natura. Da una parte, cominciando dal livello pratico, possiamo ricordare che "il naturale" è stato tradizionalmente assunto nella teologia, e particolarmente nella morale, come regola o norma dell'agire. Questo secolo ha vissuto certamente una crisi di ciò che in modo un po' spregiativo si è chiamato il "naturalismo" etico. Forse una riflessione sul senso e la portata della natura è, mancata in tale critiche. Ma in ogni caso il ruolo del concetto di natura nella teologia non può limitarsi alla dimensione pratica, poiché allora facilmente ci troveremo senza un chiaro fondamento di tale carattere normativo. È quindi necessario assume e riflettere sul ruolo normativo che la natura possiede, riguardo alla teologia, anche a livello teoretico. La natura, creazione e allo stesso tempo manifestazione di Dio, può essere vista in qualche senso come segno rivelatore dei designi divini. Sono da ricordare le parole di Galileo:

né meno eccellentemente ci si scuopre Iddio negli effetti di natura che ne' i sacri detti delle Scritture, il che volse per avventura intender Tertulliano in quelle parole "Nos definimus, Deum primo natura cognoscendum, deinde doctrina recognoscendum: natura, ex operibus; doctrina, ex praedicationibus" (Tertulliano, Adversus Marcionem, I, XVIII)8

Approfondire in sede epistemologica questa doppia dimensione del rapporto fra natura e scienza o teologia può essere una strada concreta per favorire la com prensione dell'unità alla quale scienza e teologia sono chiamate. Ma perché tale unificazione sia possibile dobbiamo esaminare la seconda delle questioni propo ste: quale concetto di "natura" può effettivamente soddisfare queste esigenze?

2. Quale concetto di natura può essere in grado di assumere il doppio ruolo di fonte di questioni e di guida normativa della scienza e della teologia?

È necessario quindi tornare sul concetto stesso di natura, per vedere in quale modo esso possa presentarsi alla scienza e alla teologia odierne, come una no zione valida a questi scopi. Qui ci sembra necessario, anche se si tratta di argo menti elementari, riflettere brevemente su alcuni dei sensi che il termine "natura" ha adottato nella storia del pensiero. Trascurare questa riflessione potrebbe infatti portare ad una scorretta impostazione dei termini del problema.

Il senso che più frequentemente viene oggi adoperato identifica la "natura" alla "totalità dei corpi", alla "totalità della realtà materiale", ossia all'intero uni verso fisico. Questo non significa necessariamente considerare la natura in un senso puramente materialista, anche se ciò sia stato molto frequente in alcune vi sioni riduttiviste della scienza degli ultimi secoli, particolarmente nei diversi tipi di positivismi. Oggi invece non è inusitato che questa nozione di natura si apra anche le dimensioni psicologiche, razionali e sociali dell'uomo in un modo non riduttivista, ma accettando la loro specificità. La natura appare, insomma, come il sistema formato da tutta la realtà accessibile più o meno direttamente alla nostra esperienza. Al di fuori di essa resta solo l'ambito del soprannaturale, e forse al cune delle caratteristiche più spiccatamente spirituali dell'uomo, come la sua vo lontarietà, la sua libertà, e gli aspetti più direttamente derivati da esse, come ad esempio alcuni fenomeni culturali, artistici, ecc.

Ora, la natura considerata in questo senso sembra essere fondamentalmente un "dato", un semplice "fatto", il che può avere due conseguenze che non ci sembrano opportune. Da una parte, risulta difficile comprendere come un sem plice "fatto" possa avere una dimensione normativa, cioè come da un fatto possa derivare un qualche "dovere". Se si ammette una nozione simile di natura, la sua dimensione di "guida normativa" si verrebbe limitata a costituire, al massimo, una specie di guida "costrittiva". Certamente "i fatti" non possono essere ignorati o contraddetti, ma di per sé non riescono nemmeno ad indicarci una strada da percorrere. Essi non "guidano", ma soltanto "limitano". In secondo luogo, se si accettasi questo concetto di natura, la sua carica di significato in ambito teologico (e anche semplicemente antropologico) ne risulterebbe notevolmente affievolita. Da esso infatti vengono sistematicamente esclusi i contenuti riguardanti le dimensioni più propriamente umane.

Il concetto di natura come "totalità" o "sistema", caratteristico particolarmente della visione meccanicista della scienza, risulta quindi troppo povero di contenuto per costituire in realtà un motivo di spinta per la riflessione della scienza e della teologia. Forse per questa ragione si è tentato qualche volta di dare un maggior contenuto al concetto di natura, vedendo in essa non semplicemente un insieme inerte di corpi ed enti, ma una totalità di tipo organico, un'entità che appare come personificata e quasi divinizzata. Questo fu l'atteggiamento seguito tra l'altro dalla "Naturphilosophie" del romanticismo. Ancora oggi questo concetto di natura ricorre con qualche frequenza nelle trattazioni pseudofilosofiche che spesso sono presenti in opere di divulgazione scientifica o scientifico-teologica.

Dal punto di vista speculativo questo concetto di natura non sembra avere una particolare importanza, in quanto di norma esso appare piuttosto come risultato di un qualche pregiudizio filosofico o ideologico (naturalismo, panteismo, ecc.), che non come frutto di un'autentica ricerca razionale fondata sull'esperienza e sulla capacità umana di cogliere l'intelligibilità del reale. In ultimo termine, questa nozione di natura vagamente panteistica, può essere vista come una manifestazione in più dei tentativi, periodicamente riemersi lungo la storia, di capovolgere il rapporto dell'uomo e del reale con il divino. Si cerca una ragione ultima del reale, che però risulta immanente al mondo.

Di fronte a questi due significati contrapposti può essere utile ricordare che per secoli il termine "natura" ha avuto un terzo senso, che non si limitava a pre sentare il raggruppamento della totalità delle cose, ma nemmeno cercava di sosti tuirsi al ruolo radicalmente fondante di Dio: la natura nel senso aristotelico di un "principio intrinseco" delle realtà naturali9. Nella prospettiva aristotelica, raccolta più tardi dalla riflessione metafisica e teologica medievale, "natura" significa anzitutto il principio che determina il modo di essere, e dal quale procede il modo di agire specifico di ogni realtà fisica onaturale. Si tratta di un modo di essere e di agire caratterizzato da una forte unità intrinseca,ma anche di una propria autonomia.

Dal punto di vista epistemologico, il punto fondamentale è che questa pro spettiva permette capire che l'uomo non si trova semplicemente di fronte ad un insieme di "fatti" sui quali può interrogarsi, ma di fronte ad una "realtà" (persona, vivente o sistema fisico) che possiede in sé stessa un principio intrinseco di intel ligibilità, e quindi una "fonte di senso" in grado di illuminare le varie dimensioni della razionalità umana. La "natura" si pone per Aristotele in opposizione all'artificiale, al accidentale, al casuale, cioè in opposizione a ciò che appare come "privo di senso" oppure come dotato soltanto di unsignificato conferitole dall'uomo stesso (ars). La realtà naturale non può apparire semplicemente come"macchina" né come sistema meccanico, composto, in ultima analisi, di un sostrato ultimo di materia senza significato (vuoto di senso), e di un impulso di namico inspiegabile, aggiunto estrinsecamente al primo. Nella prospettiva meta fisica dell'aristotelismo, il naturale si presenta, sia nella sua strutturazione che nel suo dinamismo, come una realtà a sé, dotata di senso e quindi di intelligibilità10.

L'attuale sviluppo della scienza sembra esigere ogni volta di più il ritorno ad una nozione di natura più carica di contenuto, come quella aristotelica. Risulta oggi chiaro, ad esempio, come gli schemi concettuali propri della visione mecca nicista del mondo risultino insufficienti per la comprensione dei sistemi organici, viventi, e più in generale dei sistemi complessi. Anche gli stessi metodi analitici appaiono insufficienti, e si è consapevoli della necessità di trovare nuovi strumenti concettuali per ottenere una più profonda conoscenza della realtà che ci circonda. Avere come punto di partenza dellariflessione scientifica, una nozione di natura come principio intrinseco ad ogni realtà, più consona al senso aristotelico, potrebbe favorire i programmi indirizzati verso una comprensione integrativa del mondo fisico, che possa superare la comprensione limitata che ci veniva offerta dai modelli, troppo semplicistici, caratteristici della meccanica classica. Alcuni tentativi in questa linea hanno ormai prodotto dei risultati apprezzabili11.

3. Risulta possibile il dialogo scienza-teologia sulla base dei questo concetto di natura? È la natura aristotelica un principio ammissibile dalla scienza?

Tuttavia questo programma non sembra esento di difficoltà. La nozione ari stotelica di natura ("essenza in quanto principio di operazioni", oppure "principio intrinseco dell'attività degli enti") è sembrata sterile o vuota a gran parte della scienza e della filosofia moderna. Anche nella teologia sono pochi quelli che oggi sembrano vedere in questa nozione un contenuto concreto capace di illuminare la riflessione su Dio e sul mondo.

Alla base di queste valutazioni si trova tuttavia una qualche incomprensione del senso aristotelico-tomista di natura. Si è verificata, molto spesso, una certa in capacità per coglierne il contenuto metafisico. Inoltre, non sempre si è saputo eliminare da questa nozione, all'occorrenza, le connotazioni erronee derivate dall'insufficiente conoscenza dei fenomeni fisici, propria dei particolari momenti storici in cui essa è stata formulata. Non voglio però soffermarmi in queste valu tazioni. Sarà più utile considerare la questione se il concetto di natura, nel senso aristotelico, possa risultare ancora valido per promuovere il dialogo tra scienza e teologia.

Da questo punto di vista, mi sembra che si pone una questione fondamentale. Se essa viene intesa in senso aristotelico,risulta possibile raggiungere una qual che conoscenza della "natura"? Si tratta di una questione importante sia per la scienza che per la teologia. Infatti, il rigetto moderno del concetto di natura in senso aristotelico, e la sua quasi totale sostituzione per una concezione meccani cista della natura (una natura meccanica, o piuttosto un'assenza di natura), fu motivato in grande misura da questo problema. Le difficoltà per considerare la natura aristotelica come una realtà con un contenuto effettivamente conoscibile, e non come una nozione puramente ipotetica e vuota di contenuto, erano quasi insormontabili nei nuovi schemi comprensivi della realtà, introdotti dalla scienza moderna (galileiana). In questa valutazione influì certamente la confusione tra i livelli fisici e metafisici, fino al punto che "vuota di contenuto" stava per "vuota di contenuto empirico". Ma l'esigenza allora sentita, di avere a che fare con una nozione di natura realmente conoscibile, era, e continua ad essere ancora oggi, valida. Va considerata la nozione di natura soltanto come una categoria interpre tativa o quasi ideologica, o può essere vista come una realtà che possiamo cono scere in qualche modo?

Anche per la teologia la questione risulta fondamentale. Se vogliamo ammet tere che la nozione di natura possa avere un ruolo effettivo nella riflessione teo logica, sarà necessario concepire la natura non soltanto come un modo più o meno arbitrario di concettualizzare o riassumere i contenuti empirici delle scienze (come capitava nella nozione meccanicistica di natura come "totalità"), ma come un contenuto reale capace di conferire senso alla realtà empirica, in quantoportatore di tale senso. Spesso, invece, la si è concepita soltanto come un contenuto "ideologico" o come una qualche concettualizzazione soggettiva senza contenuto reale. Risulta fondamentale ricuperare il carattere di realtà forte che possedeva la natura aristotelica. La sola alternativa sarebbe di rinunciare ad una comprensione unificata della realtà naturale e soprannaturale, e quindi l'impossibilità del dialogo tra scienza e teologia.

Torniamo quindi alla domanda posta: è possibile raggiungere una conoscenza effettiva della natura (nel senso aristotelico, cioè, "la natura delle cose")? Dare una risposta non è necessariamente semplice. Affermare di sì significa in primo luogo ammettere l'esistenza di una dimensione metafisica nella realtà. Le cose non si riducono allora ad essere un insieme di contenuti empirici. Esse "sono di più", di quanto il livello sensibile o empirico della nostra conoscenza ci permette di cogliere. E significa anche ammettere la capacità della mente umana di tra scendere questo livello empirico della realtà fisica, e di raggiungere una reale co noscenza delle sue dimensioni metafisiche.

Ammettere la realtà di questo livello metafisico risulta molto spesso ostacolato dal considerare che le dimensioni metafisiche della realtà non sarebbero altro che una sorta di "secondo livello", equivalente a quello empirico, ma situato oltre la portata dei nostri sensi e della nostra conoscenza (una specie di noumeno kantiano). Questa incomprensione è ancora oggi assai frequente, perfino tra chi vuole accettare l'esistenza del trascendente e del soprannaturale, ma che considera "il nostro mondo" come puramente empirico. Ma le dimensioni metafisiche della realtà non sono "un altro mondo". Sono il risultato di riconoscere che il "contenuto empirico" non esaurisce la realtà né l'intelligibilità del mondo fisico e materiale.

Una corretta comprensione di questo fatto è necessaria per ammettere che possiamo conoscere la natura delle cose, e per comprendere come possiamo co noscerla. Infatti, la questione posta va in realtà divisa in altre due. Domandarmi se posso conoscere la natura delle cose significa da una parte chiedermi se sono in grado di comprendere che cos'è tale natura: quale tipo di realtà possiede, quale senso ne ha, quale ruolo svolge in rapporto alle varie dimensioni della realtà. Ma significa anche, in secondo luogo, domandarmi se posso comprendere quale è (o "come è") la natura di ogni realtà fisica che io possa conoscere. Significa, cioè, domandarmi in che cosa consiste "la natura" di questo particolare ente o tipo di enti, che caratteristiche essa ha, e come la si può distinguere dalle altre nature che possiamo conoscere. E anche, in qualche grado, chiedermi perché questa natura è tale, e perché essa è il principio dell'agire di questa realtà.

In una concezione ricorrente della filosofia aristotelico-tomista, ma alquanto semplicistica, le due domande (cos'è e qual è) venivano considerate come spet tanti alla riflessione filosofica o metafisica.Ciò era dovuto in parte all'inesistenza storica di una distinzione tra la scienza e la filosofia aristotelica, che solo in que sto secolo, nel movimento neotomista, si è tentato di esplicitare. Di conseguenza, tra molti pensatori aperti alla metafisica si aprì strada l'idea che la scienza dovesse occuparsi soltanto del puramente fenomenico, senza essere in grado di raggiun gere una conoscenza essenziale del reale12. In una prospettiva scientista o natura lista, d'altra parte, soltanto la seconda domanda ha qualche senso, che però si ri duce ad un livello puramente materiale.

Una corretta prospettiva metafisica vede le due questioni strettamente colle gate. Tutte e due hanno importanza sia per la scienza che per la teologia e metafi sica. Senz'altro la prima spetta molto più direttamente alla riflessione propria mente metafisica, che tenterà appunto di scoprire il significato e la necessità di un tale principio essenziale delle cose reali. La scienza anche dovrà riconoscerlo, ma non tanto come parte della sua ricerca propria, bensì allo scopo di raggiungere una veduta più ampia e una possibilità di dialogo con la filosofia e la teologia.

La questione decisiva si pone tuttavia nel considerare la seconda domanda. Se ammettiamo una nozione aristotelica di natura, intesa come principio intrinseco delle cose, è possibile arrivare ad una conoscenza di qual è la natura concreta delle cose? È possibile cioè dire qual è la natura delle diverse realtà che compon gono questo mondo?

Mi sembra che una corretta comprensione del rapporto scienza-teologia esiga ammettere che raggiungere tale conoscenza è possibile. E riconoscere inoltre che è proprio la scienza a raggiungere tale conoscenza, quando studia l'insieme dei fenomeni fisici, chimici o biologici e ottiene dei concreti risultati in ognuna di queste scienze. La conoscenza ogni volta più precisa della struttura fondamentale della materia, ad esempio, costituisce un modo attraverso il quale sempre con più profondità si raggiunge una certa conoscenza della natura dei diversi costitutivi del mondo fisico. Allo stesso modo, perfezionare la conoscenza del patrimonio genetico delle specie viventi, o raggiungere una più precisa comprensione dei processi a livello neurologico che coordinano le diverse azioni vitali, sono modi di conoscere meglio qual è la natura di questi esseri viventi, cioè qual è, e come è, il principio proprio e intrinseco che guida e coordina le sue operazioni.

Non vorrei affermare con questo che le conoscenze risultante dalle diverse teorie fisiche o biologiche, accettate dalla comunità scientifica in un particolare momento, cioè i concreti contenuti di queste teorie, costituiscano "la natura" delle cose, o debbano essere considerati come un contenuto metafisico. Le diverse teorie scientifiche operano certamente ad un livello diverso della metafisica. Ma non si può nemmeno dimenticare che si tratta di autentici contenuti teorici, e quindi intelligibili, e non vanno visti semplicemente come "dati empirici" cono sciuti indirettamente. Ciò che tento di dire è quindi che nella conoscenza rag giunta dalla scienza, progredisce contemporaneamente la conoscenza della di mensione ontologica della realtà . Cioè, attraverso della scienza conosciamo più perfettamente la natura delle cose. E rincorrere una conoscenza della natura in dipendente dalla scienza non sembra in nessun modo possibile.

Non si tratta evidentemente, in nessun caso, di una conoscenza totale o com pleta. Conoscere la natura non può significare ottenere una comprensione di tipo geometrico o matematico, che solo il razionalismo meccanicista si illudeva di po ter raggiungere. La conoscenza del mondo naturale che ci dà la scienza sarà sem pre parziale, e in un qualche senso congetturale, poiché le teorie scientifiche mai saranno definitive né assolute. Tuttavia la scienza è in grado di raggiungere una vera conoscenza, e attraverso di essa progredisce anche la nostra comprensione della realtà nei suoi vari livelli, anche in quello metafisico13.

Per questa ragione sarà sempre particolarmente necessario valutare adeguata mente i risultati della scienza da un punto di vista epistemologico, prima di cercare di assumerli come parte di una visione più profonda, filosofica e teologica, della realtà. Si corre altrimenti il rischio di presentare come contenuto metafisico della realtà ciò che non è altro che una generalizzazione affrettata di alcuni elementidelleteorie scientifiche, come capita spesso, purtroppo, nella divulga zione scientifico-teologica.Unavalutazione epistemologica adeguata permetterà, oltre a riconoscere i limiti dei modelli scientifici, riconoscere anche l'aumento positivo di intelligibilità raggiunto dalla scienza, e permetterà così scoprire in essa l'occasione di una conoscenza che non si limita al piano puramente empirico ma è carica di significato anche nei piani epistemologico,metafisicoe teologico.

Il ricupero della nozione aristotelica di natura come principio intrinseco ad ogni realtà del mondo fisico,irriducibile ai dati fenomenici, e l'adeguata integra zione di essoinunaprospettivachetenga conto del valore epistemologico della scienza attuale, puòconsentire così l'incontro e il dialogo fra scienza e teologia at torno alla nozione di natura, siacome fonte di quesiti per la ricerca nei due campi, che come fonte di senso che possaavere anche una funzione normativa e di guida.

Note

(*) Facoltà di Filosofia. Pontificia Università della Santa Croce. Piazza di Sant'Apollinare 49, I 00186 Roma.

(1) Cfr. M. Artigas, "Objectivity and Reliability in Science", Epistemologia, 11 (1988), p. 102. Perun'analisi più completa di questi due aspetti, si veda M. Artigas, Filosofía de la ciencia experimental, Eunsa, Pamplona 1989, pp. 13-20.

(2) Si tratta di un caso superato da tempo. Tuttavia il suo studio può ancora essere di utilità per impostare i rapporti scienza-teologia. Cfr. R. Martínez, "Il significato epistemologico del caso Galileo. Due diverse concezioni della scienza",Acta Philosophica, 3 (1994), pp. 45-74.

(3) Uso il termine "oggettivazione" fondamentalmente nel senso in cui lo presenta E. Agazzi. Si veda E. Agazzi, "L'objectivité scientifique", in L'objectivité dans les différentes sciences, ed. by E. Agazzi, Editions Universitaires, Fribourg (Suisse) 1988, pp. 13-25. Si veda anche M. Artigas, "Objectivity and Reliability...", p. 103. Sono chiare le difficoltà esistenti per applicare questo con cetto alla riflessione teologica, le cui caratteristiche sono assai diverse da quelle della scienza spe rimentale. Nel far riferimento alla teologia, quindi, useremo questo termine analogicamente.

(4) Cfr. John Paul II, Message to the Rev. George V. Coyne sj, Director of the Vatican Observatory (June 1, 1988), inPhysics, Philosophy and Theology: a Common Quest for Understanding, ed. by R. Russel, W. Stoeger, and G. Coyne, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1988, M1-M14.

(5) In queste pagine userò il termine "teologia" nel senso caratteristico della tradizione cristiana, e cioè come la riflessione razionale sul dato rivelato (fides quaerens intellectum), e non semplice mente come una riflessione sulla dimensione religiosa dell'uomo, il che costituirebbe piuttosto una "filosofia della religione".

(6) Rom. 8, 19-22.

(7) Cfr. O. Pedersen, The Book of Nature, Vatican Observatory Publications, Notre Dame (Ind.) / Città del Vaticano 1992.

(8) Galileo Galilei, "Lettera a Madama Cristina di Lorena, Granduchessa di Toscana" (1615), in Opere, vol. I, a cura di F. Brunetti, UTET, Torino 19802, pp. 559-560.

(9) Cfr. Aristotele, Metafisica, V, 4; Fisica, II, 1. Una trattazione completa la si può trovare nei classici studi di R.G. Collingwood, The Idea of Natura, Clarendon Press, Oxford 1964; A. Mansion, Introduction á la physique aristotèlicienne, Vrin, Paris 19452.

(10) Si veda M. Artigas, La inteligibilidad de la naturaleza, EUNSA, Pamplona 1992; M. Artigas, "Three Levels of Interaction between Science and Philosophy", in Idealization IV: Intelligibility in science (Poznan studies in the philosophy of the sciences and humanities, 26), ed. C. Dilworth, Rodopi, Amsterdam 1992, pp. 123-144.

(11) Si veda ad esempio il contributo presentato alla Forth European Conference on Science and Theology, "Origins, Time and Complexity" (Albano-Rome, March 23 to 29, 1992), da G. Basti and A. Perrone, "Time and Non-Locality. From Logical to Metaphysical Being. An Aristotelian Thomistic Approach", in Studies in Science and Theology, 1 (1993) (forthcoming).

(12) Un esempio di questo fatto lo si trova nel formalismo convenzionalista di Duhem. Si veda, ad esempio, P. Duhem,Sózein tà phainómena. Essai Sur la Notion de Théorie physique de Platon à Galilée (1908), Vrin, Paris 1990.

(13) Sulla capacità della scienza di raggiungere una vera conoscenza della realtà, si vedano le re lazioni presentate da yciski, Arecchi, Artigas e l'autore, nel III Convegno di studio della Facoltà di Filosofia dell'Ateneo Romano della Santa Croce, "La verità scientifica. La scienza attuale di fronte all'intelligibilità del reale" (Roma, 24-25 febbraio 1994) (in preparazione).